Molto tempo fa, quando andammo per archivi in cerca di chiarire la provenienza della famiglia, l’archivio parrocchiale di Spresiano conteneva i dati della mia, che arrivava fino al ‘600. L’avo più remoto, lì abitante in quel secolo, tale Mathio Pilla, veniva dichiarato “proveniente dal Feletto”. Questo mi destò curiosità, e mi indusse a cercar di conoscere un po’ meglio questa località. È bel posto, il Feletto! Ne parlo volentieri. Natura del terreno di natura carsica, il Felettano era un tempo diviso in due parti, corrispondenti alla antica chiesa di San Pietro, e quella di Santa Maria riandante al 1369, filiale della pieve di San Pietro.
Più che una città, il Felettano è un insieme di centri dell’alta Marca Trevigiana, suddivisi in borghi di dimensioni più o meno importanti. Ciò è dovuto al fatto che il bel territorio è rigorosamente vincolato, e l’edificazione molto contenuta. Sono cinque le località che lo compongono: Rua, San Pietro, Santa Maria, San Michele, e Bagnolo; quest’ultima in origine si chiamava Santa Pasqua. L’insieme forma un’ambiente rurale ameno, dove l’aria buona si respira godendo il piacere del paesaggio, ricco di vigne molto ben tenute. Per arrivarci non c’è di meglio che percorrere da Conegliano la popolare “Strada del Vino Bianco”, essa stessa bel panorama. Papa Giovanni XXIII amava passeggiare qui, al Roccolo, da quando era Patriarca a Venezia. In via dei Pascoli, a Cà del Poggio, c’è il sentiero dei 100 scalini, e il famoso muro percorso da varie edizioni del Giro d’Italia, 1150 m di salita molto impegnativa, con pendenza massima del 18%.
Il capoluogo è quello che fu il primo nucleo, San Pietro di Feletto, ma il municipio ha sede a Rua.
Il toponimo è di origine incerta. Potrebbe derivare da filix – felce, pianta amica dell’aria, indicativo della dovizia di sano foraggio presente nella zona. Ma può anche essere originato da lingua germanica, con il significato di terra piana ricca di stagni. E nell’interrogativo, è opportuno andar a osservare il territorio, facendo una bella passeggiata.
Dirimiamo dapprima qualche incertezza sul passato: la sua storia si palesa nel VII secolo quando gli stanziali, sui resti di un tempio pagano, erigono la chiesa di San Pietro attorno alla quale non tarda a crescere il numero degli abitanti. Nell’XI secolo fu oggetto di donazione al vescovo di Belluno, per volontà dell’imperatore. Non tardò a divenire una importante pieve, la cui giurisdizione abbracciava più ampio territorio. Con il dominio austriaco divenne municipio, per ottenere poi la potestà giudiziale sull’ area comprendente le già citate località, che fanno parte oggi del Felettano.
La Pieve di San Pietro, posta in luogo altamente panoramico, con la sua storia millenaria, e il suo valore storico-artistico, è forse il monumento più importante da visitare. Di epoca longobarda, risale all’anno mille. Si presenta con un ampio porticato, che un tempo serviva di riparo ai villici, nelle assemblee di natura sociale. Numerosi sono gli affreschi che lo decorano, tra cui il noto “Cristo della domenica” risentito dal fatto che si lavorasse di festa. Opere di questo soggetto sono molto rare. C’è poi la “Madonna del Latte”, con Gesù Bambino che succhia il latte da una vescica, come accadeva un tempo nelle famiglie povere.
L’interno è essenziale, tre navate con arcate a tutto sesto sorrette da sobrie colonne, ma lo sguardo è subito attratto dal bell’organo dell’800.
D’interesse, i medievali affreschi alle pareti, e la bella cappella del fonte battesimale.
Non è grande l’edificio, ma si gode di una bellezza serena. Il campanile è simile a quello di Aquileia.
Oltre alla prevalente attività agricola con massima attenzione alla produzione del Prosecco, gli abitanti lavorano il legname, e producono eccellenti formaggi dovuti a quegli ottimi pascoli che hanno originato il nome della località. Oltre ad altre curiose denominazioni, “Feletto” viene chiamato il formaggio a pasta morbida, e “San Pietro” quello a pasta dura. Molto curato quello fatto con latte crudo, nel rispetto della natura. La tradizione culinaria vuole il Feletto tagliato a fette spesse, cotto alla griglia, e servito con polenta, sopressa e funghi.
Il secondo sito d’interesse è Santa Maria, adagiata su incantevoli colline moreniche, che con San Michele è terra di antichi boschi, e curatissime piantagioni di viti. Qui Insediata già dalla preistoria, la popolazione è laboriosa. Dopo la reggenza dei Da Camino, poté godere della Signoria dei Collalto. È in epoca napoleonica che i due siti diventano parte del comune di San Pietro di Feletto. I pregiati legni di rovere e di castagno erano destinati alle esigenze dell’arsenale della Serenissima, gli eccellenti vini finivano sulle tavole dei Dogi e dei Re loro amici.
Suscitano curiosità le caverne esistenti, e alcune gallerie segrete.
La chiesa è del 500, il piccolo campanile custodisce la campana che era dell’antico eremo camaldolese. Quest’ultimo, sul Colle Capriolo, è di particolare interesse, nel cuore della frazione di Rua. Risale al 1670, l’eremo, frutto di una donazione del patrizio veneto Alvise Canal alla Compagnia degli Eremiti di S. Romualdo, camaldolesi di Monte Corona. Comprendeva un palazzo, 50 campi trevigiani, e una chiesetta. Si costruirono 14 celle, ciascuna con orto e giardino, il tutto racchiuso dalle mura claustrali, al cui interno i monaci conducevano la loro vita vestiti di bianco. Bonificarono i terreni adiacenti all’eremo, e curarono il pascolo. È una visione suggestiva!
Soppresso da Napoleone, l’eremo rimase dimenticato, e andò parzialmente in rovina. Si è messa mano al recupero di quattro celle, del refettorio e dell’albergo dei poveri, ambienti in parte occupati dal municipio di San Pietro di Feletto, in parte dalla parrocchia di Rua.
Per i marciatori, è possibile partecipare ad un percorso storico che viene organizzato tra quanto rimane dell’ Eremo Camaldolese, percorso che intende far rivivere le emozioni legate alla vita dei monaci inseriti in quel contesto.
Una giornata trascorsa qui vuol essere una piacevole pausa di ritorno al passato, un passato che ha visto momenti difficili, ma che la tenacia di queste genti ha saputo trasformare in benessere.
Vorrei concludere questi miei pensieri con un incontro speciale, una simpatica curiosità. A San Pietro di Feletto c’è anche il museo del formaggio, per il gourmet che desidera conoscere l’antica arte casearia: tra le altre cose, sono esposti gli stampi usati nell’ottocento, le zagole che venivano usate per sbattere la panna e trasformarla in burro. E poi, questo proprio speciale, il Degustarium: un’area sacra, progettata per assaggiare le eccellenze casearie. Per gli amanti del formaggio, come me, una chicca. Paolo Pilla
Le immagini sono gentilmente fornite dall’Archivio fotografico comunale di San Pietro di Feletto