Lasciata la città di Cagliari, ci avviamo verso ORISTANO    

Abbiamo così modo di apprezzare le colline sarde, nella regione detta Campidano di Oristano. Gemella alla Repubblica Marinara di Pisa, già capitale del giudicato, Oristano si colloca tra le spiagge sabbiose della costa, e gli altopiani basaltici del Montiferru. Territorio sempre stato favorevole all’insediamento, dispone di approdi facili e pescosi, di insenature riparate dai venti, di zone pianeggianti fertili utili alle coltivazioni e per allevare gli animali, oltre a rilievi boscosi ricchi di legname. Fu un tempo Marchesato, subì incursioni barbariche, nonché il flagello della peste nel 1652, portata da una nave mercantile proveniente da Tarragona.

Con bella superstrada fiancheggiata da siepi di ginestre, oleandri e mirto, e qualche bosco di eucalipto, raggiungiamo BARUMINI sull’altopiano basaltico delle Giare. Qui si trova il villaggio di Su Nuraxi,

patrimonio dell’Umanità, e le grotte chiamate “domus de janas” (case delle fate), accanto alle grandi sepolture conosciute come “tombe dei giganti”.

Poi una rarità, i cavallini selvaggi della Giara, in branchi, mentre  pascolano allo stato brado. Creano grande meraviglia.

Vicino alla costa vediamo ARBOREA, uno dei quattro giudicati in cui era divisa la Sardegna. La cittadina nasce nella zona di Alabirdis, durante la grande bonifica delle paludi di Oristano voluta da Mussolini, che operò con gran numero di uomini e mezzi. Il villaggio realizzato ebbe il suo nome, tramutato poi in Arborea. È qui la maggior azienda per la lavorazione del latte, di cui da tempo consumo ogni giorno i loro prodotti, che per me amante dei latticini, trovo i migliori in assoluto.

Più all’interno troviamo l’Oasi naturalistica di ASSAI, mille ettari di querce, in particolare da sughero. Oltre alla produzione del sughero, c’era qui una carbonaia che fino a tutto il ‘900 forniva carbone all’intera Sardegna. Oggi l’oasi è popolata da cervi sardi, cinghiali, daini, gatti selvatici e martore. Oltre ai vari tipi di uccelli, si possono incontrare lo sparviere, e l’aquila reale.

Nella zona del Barigadu, là dove c’era il paesino di Zuri, fu sbarrato il fiume Tirso, per cui si formò il grande invaso artificiale che sommerse il paese. Accanto al lago si erge ora un esempio di architettura medioevale: la chiesa di san Pietro, rossa come la roccia lavica con cui fu edificata.

Per salvare quell’edificio, si provvide a smontarlo e ricostruirlo all’asciutto. Il resto del villaggio giace ora sott’acqua, e riappare nei periodi di siccità.

A seguire incontriamo BOSA, la città dei Mille Colori, incantevole borgo della regione storica della Planargia, dove tradizione e modernità si fondono: il porto turistico fluviale, le sue case variopinte

dominate dal castello dei Malaspina risalente al XII secolo di cui è possibile visitare i ruderi della struttura,

le antiche concerie, il museo delle Conce, il Ponte Vecchio a cavallo del Temo, unico fiume navigabile della Sardegna di cui non siamo riusciti a godere l’esperienza, seppur fortemente desiderata. Con gran dispiacere di Piero, ma anche mio, abbiamo visto il battello passare senza di noi! Ma è bello anche veleggiare a ridosso della costa, dove s’incontrano solitarie calette e si può ammirare il volo planato dei grifoni, splendidi avvoltoi. Dentro le mura del castello, la chiesa di Nostra Signora de sos Regnos Altos, arricchita da dipinti del 1300, ciclo di affreschi da attribuire ad artisti di scuola pisana e spagnola.

E qui a Bosa, abbiamo potuto assaporato la vera eccellente Malvasia di Bosa doc, offertaci dal produttore artigianale, innamorato della sua cittadina, desidera che sia conosciuta e rispettata.

Continuando raggiungiamo SANTA GIUSTA, centro fenicio del Campidano del VII secolo a.C , ora importante centro di mercato ittico. Su di un’altura c’è la Cattedrale medievale del XII secolo, realizzata in arenaria, una delle chiese più belle  della Sardegna. Esempio di architettura sardo-romanica d’ispirazione pisana, sono molto evidenti le somiglianze con il Duomo di Pisa.

Non lontano, c’è lo stagno, di grandi dimensioni (790 ettari), zona umida prossima alla costa, riconosciuta sito di interesse comunitario per la presenza di flora e fauna di specie particolari. Di forma pressocché circolare, un tempo separato dal mare da alcune dune, presenta acque salmastre perenni. Sono importanti anche le sue risorse ittiche, sfruttate per la pesca  di orate, spigole, anguille, vongole.

Va infine detto che il territorio di Oristano, grazie alla sua storia, è la porta d’ingresso all’anima nobile dell’Isola. Si disputano qui gare equestri di origine medioevale, di cui la più famosa è la “Sartiglia”. Sono 120 cavalieri, che rievocano le gesta del passato, spettacolo da gustare sgranocchiando dolci alle mandorle e sorseggiando vernaccia.                    Paolo Pilla