Lasciamo Nuoro, e il suo mare, ma restiamo nel suo ambito, per assaporare un borgo fantastico della Barbagia: Orgosolo, a 600 metri sul livello del mare.

Per entrare in sintonia con il luogo, va ricordato che nel 1969 furono affissi nel paese i manifesti invitanti i pastori a spostare la zona di pascolo, per la durata di due mesi, in relazione alla necessità di installare un poligono da tiro provvisorio da parte delle forze armate locali.

A migliaia i compaesani si riunirono in assemblea, espressero dubbi sull’entità della durata, si mobilitarono, e occuparono pacificamente l’area. L’esercito non reagì, e restituì la zona ai pastori; fu la prima lotta antimilitarista vinta dai Sardi. In quel contesto nacque il muralismo,

nota caratterizzante quel paese della Barbagia, cuore e anima della Sardegna, situato sulle propaggini della catena del Gennargentu. Il film di Vittorio De Seta “Banditi ad Orgosolo” del ’61, ne dà testimonianza. Qui  la gente è indomabile, di qui era il leggendario bandito Graziano Mesina. Il banditismo sardo è affascinante, a Orgosolo ha prodotto turismo. Un giro tra i boschi a pranzo con i pastori, regala entusiasmo, mentre l’arte murale colora il paese.

La ho ben osservata questa città, e assaporata; sono opportune queste due righe introduttive: Al momento di lasciare Nuoro per venire qui, ho avuto una breve conversazione con una signora a cui avevo espresso i complimenti per aver trovato in Sardegna gentilezza e disponibilità. La signora dimostrò di esserne convinta, e mi disse che a Orgosolo l’avrei trovata anche maggiore:  “le verrà chiesto di poter esservi di utilità, di poter essere a vostra disposizione”. Ed ecco che prima di entrare in città a Orgosolo, ci siamo fermati un momento a confrontarci con le mappe. Un minuto, e una macchina si è accostata. In breve, la conversazione con la signora gentile: “avete bisogno di qualcosa?” Beh, in realtà cerchiamo un posto per dormire stasera, e per mangiare bene senza straspendere.

Penso a tutto io, so dove portarvi”- Grazie signora, se può rimanga a cena con noi. “vi ringrazio, starei volentieri, ma non posso, sono impegnata con una nozze” – come una nozze signora? – “per la settimana, com’è uso qui, devo portare la carne a 45 persone, ai maggiori referenti delle nozze” – come, come? – si, a giorni c’è il matrimonio – con 45 persone? – noo, ci sono ben anche quelli, ma al pranzo di nozze sono seicento.

Non la faccio tanto lunga, queste le abitudini di Orgosolo, dove peraltro, curioso qual sono, mi son trovato benissimo, una scorpacciata di nuovo sapere. E infatti, così è stato, quella signora ci ha trovato l’ospitalità, e poi ci ha accompagnato al ristorante dove abbiamo mangiato una “fiorentina”,

che nulla aveva da invidiare alla toscana: onesta, e molto ben preparata. A seguire, la passeggiata, l’incontro con i Murales che sono dappertutto, a centinaia, maggiormente di orientamento politico, di sinistra.

Sono apparsi cinquant’anni fa, raccontano la vita contadina, le tradizioni, intervallate all’intimo  dissenso della gente nei confronti del potere. Per lo più sono collettivi questi murales, e sono arte.

Non sono assolutamente paragonabili all’imbrattamento che spesso deturpa i muri delle case nelle nostre città. Mi è stato detto che gli abitanti pensano per metà a sinistra e per metà a destra, tuttavia, intelligenti, vanno d’accordo. Non lontano da Orgosolo c’è Fonni, a 1000 m. s.l.m. sulle pendici del Gennargentu, il paese più alto della Sardegna, serrato da boschi secolari, e da tanta preistoria.

Tappezzato di murales anch’esso, a Fonni si assapora l’arte di strada. Qui sono molto curati i Murales, e manca la matrice politica; ne riconosci l’arte. Fonni e Orgosolo fanno parte dell’associazione italiana che raggruppa i duecento “Paesi dipinti”. Visitando la Sardegna è d’obbligo andar a vedere almeno una volta i Murales: si possono definire un museo all’aperto. La presenza dell’uomo, in queste terre, risale al Neolitico. Ne danno testimonianza le punte di freccia in ossidiana. Nella zona archeologica sono stati trovati 17 Menhir, un Dolmen, sessanta Domus de Janas, 15 nuraghi. Dell’età punica i rinvenimenti sono dal sito di Urulu, con 9 monete in bronzo, e frammenti di  vaso attico decorato con scene di palestra. Del periodo imperiale monete romane, recipienti in bronzo, e tracce di affioramenti murari. Tutto ciò è visibile al Museo archeologico di Nuoro. Il Borgo è suggestivamente riportato, in “Cenere” (1903) di Grazia Deledda.

Ma qui si viene anche a praticare lo sci, grazie agli impianti di risalita che portano a oltre i 1800 metri, tra le cime Spada e Bruncu Spina, sul massiccio del Gennargentu.

Altra curiosità, nasce qui il più abile cane per la difesa delle greggi, il richiesto “pastore fonnese”.

Ma ora scade il tempo, purtroppo dobbiamo pensare al ritorno. Nel disappunto di lasciare questa parte di Barbagia ci avviamo verso Cagliari, dove si concluderà il nostro periplo sardo. Anche su queste strade ho potuto apprezzare il fiancheggiarsi di arbusti dai bellissimi colori.

Come ultimo piacere, prima di prendere l’aereo, ci siamo goduti una delle tante spiagge di Cagliari, e fatto un bagno al Poetto. È la più grande, si estende dal promontorio della “Sella del diavolo” fino a Quartu Sant’Elena. È l’apprezzato “mare” dell’hinterland cagliaritano.

Epperò, vorrei aggiungere un’altra cosa, vorrei parlare di vino: il clima mite, il vento, la struttura del terreno, sono un insieme di fattori che permettono il benessere del vitigno. Una buona coltura genera vini di particolari diversità, e di elevata qualità. Erano modeste un tempo le estensioni di viti, il vino arrivava soprattutto da fuori, nelle anfore. Di coltura della vite in Sardegna, c’è attestazione al IX secolo a.C., se ne ha testimonianza nella campagna di Monastir, dove in un villaggio nuragico è stato rinvenuto un torchio per vinacce, una vasca cilindrica di marna calcarea. Il torchio nuragico nella più antica cantina per la vinificazione in Sardegna. Non è chiaro a chi ascrivere l’introduzione della vite nell’isola; alcuni ritrovamenti farebbero propendere per i Fenici, almeno due sono di loro provenienza, i più antichi: il Nuragus coltivato nel Campidano, e la Vernaccia nella valle del Tirso. Furono i monaci Cistercensi, i Camaldolesi, i Benedettini, a incrementare poi la coltura della vite. Sta di fatto che in Sardegna si beve bene. Oltre alla Malvasia, da provare è lo Zibibbo. Eccellenze!

Un po’ stanchi per la troppa fretta con cui abbiamo visto tante cose in poco tempo, lasciamo la Sardegna con un sentimento di forte apprezzamento, ma con il desiderio, anzi la certezza, di tornarci almeno una volta. In ogni posto che abbiamo visitato abbiamo respirato la storia, quella delle origini dell’uomo, e l’incomparabile bellezza della natura. Grande Regione la Sardegna, e grande popolo i Sardi.                     Paolo Pilla