E dove si chiude il Montello, si apre Montebelluna. In questa città alle porte di Treviso, ricca di storia che affonda nel Paleolitico, si vive bene. È in posizione protetta, con ampie distese di suolo fertile e pianeggiante. La zona fu privilegiata già dai paleoveneti al loro arrivo, attorno al XIV sec. a.C. Ne fecero un felice insediamento, per la presenza di tutto quanto serviva ad una buona sopravvivenza (acqua, suolo fertile). Fu rilevante poi la sua posizione strategica, che collegava e collega tuttora la pianura al monte, divenne il più importante centro del Veneto preromano.

Infatti, dopo degli antichi Veneti fu il tempo dei Romani, con i quali divenne parte dell’agro centuriato di Acelum. Fu castrum, a salvaguardia di Asolo e di Treviso. Nel 1100, allorché l’imperatore Ottone la diede in concessione a Rambaldo II di Collalto conte di Treviso, ebbe il suo castello. Diviene poi feudo vescovile, e inizia la sia storia di Pieve a cui il gastaldo concederà il forte,  esteso poi, al beneficio mercantile. Nel ‘300 assiste alle lotte per la supremazie degli Ezzelini, dei Caminesi, dei Della Scala, e passa sotto la Podesteria di Treviso. Ma ormai era entrata a far parte della Serenissima Repubblica di Venezia. Questo in estrema sintesi, il percorso temporale, epperò tutti che la vissero, ne ebbero buona sorte, e di tutti è rimasta traccia.

A Montebelluna è sempre stato celebre il suo mercato, di buon nome, già dal X sec. Si teneva mensilmente, accanto al castello, ed era esente da tributi. Il luogo è ancora lì, si sale un po’ dal centro della città, e si capisce di essere giunti a Mercato vecchio “Marcà Vecio”: la sua anima, il cuore antico della città; da qui si domina l’intero agro sottostante. Nella salita, s’incontra la chiesa di Santa Maria in Colle,

fondamentale nei secoli andati. Costruita nel 1400, ebbe nel tempo la cura  delle funzioni amministrative dei cinque “Comuni” (Posbon, Visnà, Pieve, Guarda e Pederiva) che costituivano appunto la Pieve di Montebelluna. A praticarla sono oggi i Monaci Oblati Camaldolesi. Molte opere d’arte non ci sono più, trasferite nella nuova chiesa del 1908.  Sono rimasti gli altari, il fonte battesimale e il coro ligneo, risalenti al settecento. È ancora molto bella quella chiesa, ricca di affreschi di pregio, importante quello sul soffitto, maestosa opera del maestro Francesco Fontebasso (1760), e poi la meraviglia di organo, “Gaetano Callido” del 1805. C’è poi lo storico Cimitero, con resti di lapidi romane. Tutto questo è autorevole patrimonio culturale di Montebelluna, che penso andrà rispettato a salvaguardare la memoria.

Un insolito orologio solare è tornato al suo splendore antico sulla facciata della villa  di fronte alla chiesa : una meridiana realizzata nel 1786, e minuziosamente restaurata, che segna il passare delle ore in due modi: nel metodo italico, e in quello francese. Nel modo delle ore italiche, in uso in Italia dal 1200 al 1700, era “La meridiana a ore del tramonto”, la suddivisione cioè delle ventiquattr’ore si calcolava partendo dal tramonto, fino al tramonto successivo. Con il metodo  d’oltralpe, si va invece dalla mezzanotte a quella successiva.

Sono curiose alcune note trovate tra gli incartamenti del mercato: il rendiconto del movimento merci nel 1868: la vendita di un quintale di libri, e di due quintali di medicinali. Poco si leggeva, e poco frequente era l’uso dei medicinali: per le cure si rivolgevano alle erbe. C’era tanto consumo di cuoio invece, per soddisfare le necessità degli “scarperi”, 800 q.li di pellami.  

Dicevamo che il mercato era sgravato di dazi. Nel 1157 Federico Barbarossa  autorizza Ulderico vescovo di Treviso, a tenere per se gli oneri derivanti, e il vescovo li cede alla Comunità . A maggior risalto, nel 1593 viene eretta la colonna ducale che sorregge la Madonna; sul piedistallo di marmo viene incisa la conferma “il mercato di Montebelluna è franco e libero da ogni gravezza”.

Ma torniamo alle origini: Lasciata Troia, e attraversato l’Adriatico, gli Eneti condotti da Antenore si fecero largo tra gli Euganei; fondarono Este, Padova, Altino, e tra l’altro Montebelluna.  I Venetici adoravano la dea Bellona, dea della guerra, chiamata da alcuni Duellona. Rimase venerata anche presso i Romani, che la raffiguravano armata di frusta e di scudo.

L’origine del toponimo,  di quell’altura che marcava la vallata del Piave, potrebbe rifarsi anche proprio alla dea Bellona. I vari reperti ci portano a conoscenza  di tante cose riguardanti l’antico popolo che calpestò quella terra: le loro capacità, la lingua, le  dimore, il culto dei morti. Nell’attuale Mercato Vecchio, la collina dove ebbe origine l’abitato, sono venuti alla luce numerosi reperti preistorici, tra cui asce di rame del tutto simili all’ascia trovata accanto a Ötzi, la mummia dell’uomo di Similaun, vissuto intorno al 3300 a.C., rinvenuto sul ghiacciaio del Similaun. Quelle asce sono ora custodite accanto a Ötzi nel Museo di Bolzano. Qui furono usati strumenti di rame 6000 anni fa,  e sempre qui sarebbe stato eretto il santuario paleoveneto da cui il ritrovamento dei dischi bronzei, che ora sono conservati nel Museo civico di Treviso. Ci sono poi i reperti romani. Sulle Rive di Posmon, nel corso di lavori edili emerse una necropoli, che comprendeva 350 tombe, tra il venetico e il romano. Di grande interesse il ritrovamento di una situla finemente lavorata, ora conservata al museo civico di Montebelluna. L’entità dei reperti preservati, uniti a quelli provenienti dalla necropoli romana rinvenuta a Vidor, ha suggerito al Comune proprio in questi giorni di indire un’asta tra esperti archeologi e antropologi per aggiudicare l’incarico finalizzato all’esame scientifico dei reperti provenienti dalle tombe.

Non mancano le ville venete a Montebelluna. In genere ben conservate, sopravvissute alla grande guerra, quando, dopo la disfatta di Caporetto si trovarono in prima linea. Sono pochi i privati a poter godere delle loro ville, sono state  in genere rese fruibili in modo proficuo. Troviamo così

-Villa Zanin – del sec. XVII. -Bel palazzo nato come casa padronale, è ora adibita ad albergo

-Villa Barbarigo già Mocenigo – del XVI secolo, i Barbarigo misero a disposizione Villa e Barchessa, per i ricoveri a difesa dalle pestilenze veneziane. È ora sede del Museo di Storia Naturale

-Villa Burchiellati , Zuccareda, Binetti- Casa padronale del Cinquecento, voluta dall’intellettuale trevisano Bartolomeo Burchiellati. Nata “casa da castaldi”, la villa soffri lungo tempo di abbandono.

Museo dello Scarpone e della Calzatura Sportiva / Villa Zuccareda Binetti (XVI-XVII sec.)

Del tutto restaurata nell’ottocento, conserva la scenografica struttura con la grandiosa scalinata, e l’ampia facciata divisa in tre parti.  Oggi la Fondazione Sportsystem ospita il Museo dello Scarpone e della Calzatura Sportiva.

-Villa Bressa, Guillion Mangilli, detta “Casa del Francese”,

ho avuto l’opportunità di visitarla insieme alla proprietà. È un complesso articolato, costruito nel ‘400 a supporto delle attività agricole. Nell’’800 il proprietario Albert Guillion crea uno stabilimento per la coltura

del baco da seta, e si inventa il dispositivo per avvolgere in matasse i fili prelevati dal bozzolo.

-Villa Correr Pisani, collocata ai piedi del Montello, è l’elemento che di più  esprime l’assetto culturale del territorio. Realizzata nel ‘600 da Angelo Correr, procuratore di S. Marco, fu riccamente abbellita da importanti affreschi; spiccano quelli del salone centrale, compiuti da Faustino Moretti. Per il matrimonio di Isabella Correr con Almorò Pisani ci fu anche l’apporto del giovane Giambattista Tiepolo. Questo è il periodo in cui la villa poté esprimere il massimo splendore. Nell’ottocento il complesso subisce una serie di trasformazioni, che un po’ l’avviliscono. Assume la funzione di accoglienza umanitaria (Croce Rossa e altro), subisce le angherie dei proprietari, che la spogliano di statue e arredi finiti nelle loro abitazioni. Passata nel 1980 di proprietà del Comune di Montebelluna, la sta restaurando, per tornare a essere, grazie al MeVe, luogo fruibile da tutti. È un incanto il parco, con scenografici angoli, il grande labirinto di siepi, l’Orangerie: “tutto quello che può ricreare la vista e soddisfare il gusto“, diceva Almorò Pisani.                       Paolo Pilla