Non è molto grande Maser, ha poco più di 5000 abitanti, ma la sua grandezza è nelle struttura mentale. Vorrei che questo posto, ricco di storia e di bellezza venisse maggiormente conosciuto. Siamo nelle Prealpi Venete; il capoluogo Maser, che nel ‘700 veniva chiamato Mafere, è sostenuto da alcune frazioni: Crespignaga, Coste, Madonna della Salute oltre a qualche altra località sparsa sul territorio. La cittadina è a 147 m s.l.m., con le frazioni arriva a un’altitudine massima di 500. È al centro di una regione salubre, in parte pianeggiante, da sempre terreno a vocazione agricola. La sua storia è stata legata lungo tre secoli agli Ezzelini da Romano. Feudatari nella Marca Trevigiana, gli Ezzelini furono protagonisti di lotte sanguinarie anch’essi a causa del rapimento di una donna, ma anche per quell’odio che si instaura tra fratelli sospettosi. Con la sconfitta di Alberico nel 1260, trucidato lui e tutta la sua famiglia bambini compresi, cessa l’appartenenza del feudo trevigiano ai Da Romano.
A lungo la nobiltà veneziana si era espressa nel commercio, ora aveva scoperto la campagna, a cui si dedicò appieno, valorizzandola anche nell’arte. Oggi la campagna di Maser dà i suoi frutti agli abitanti con le viti, gli olivi e i ciliegi. Già, questi, Maser infatti è anche detta la città della ciliegia; ogni anno, a maggio c’è la mostra di questo frutto particolarmente bello e buono, a denominazione d’origine. A giugno poi c’è “Morlacco in Villa”, un gustoso incontro di 7 chef che incontrano 7 malghe, durante il quale è possibile assaporare il tipico formaggio Morlacco, in gara gastronomica. E ancora, a novembre c’è “Olio in Villa”, evento dedicato all’Olio EVO, in cui i Sommelier dell’olio presentano e guidano alla degustazione gli ospiti, nell’assaggio degli oli prodotti dai 50 produttori di Maser. La degustazione è gratuita, ed è poi possibile acquistare direttamente l’olio, considerato un’eccellenza.
Alle spalle di Maser, poco lontano, ci sono le sorgenti del Muson, e la salita breve, ma impegnativa della Forcella Mostaccin (16%), tappa del giro d’Italia.
Tutto ciò è bello e interessante, ma a far grande Maser è altro, sono le ville. Ce ne sono cinque, Villa Barbaro è la maggiore, è splendida, l’andiamo a conoscere. È tra le ville più imponenti del Palladio, testimonia di più la ricerca culturale del ‘500 a Venezia, legata all’esigenza che ci fosse la “villa” in terra ferma: operosa, e per il piacere della villeggiatura. Non si può non andare a conoscerla!
Villa Barbaro è stata costruita da Andrea Palladio nel ‘500, su commissione dei fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro, componenti di una tra le più rilevanti famiglie veneziane. Filosofo umanista e Patriarca di Aquileia l’uno, fine conoscitore d’architettura, e ambasciatore della Repubblica di Venezia l’altro. A loro due, grandi estimatori di Palladio, sono da ascrivere alcune scelte architettoniche nel progetto: a Daniele, l’impronta sacrale della villa, a Marcantonio il ninfeo, che lui stesso disegnò, a raffigurare la coesione tra cielo e terra.
Il sito, situato a mezza costa, era stato in precedenza proprietà di nobili famiglie veneziane: i Pisani e i Giustinian. La villa fu costruita sui resti di un palazzo medioevale, un luogo in odore di sacralità, accanto a una sorgente, a dominare la campagna circostante. Fu dato l’incarico al Palladio, ben noto e stimato dai Barbaro, con l’intento di avere una villa di campagna che rispondesse alle esigenze dei due fratelli: lo studio delle arti, e il godimento dei beni della natura. A completare l’opera del Palladio per le decorazioni, furono incaricati Paolo Caliari detto il Veronese per gli affreschi, e Alessandro Vittoria, il miglior allievo del Sansovino, per le sculture.
Dopo i due fratelli, la villa passò ai figli di Marcantonio, e a seguire ad altre famiglie nobili veneziane, tra cui ai Manin del ramo dell’ultimo doge della Repubblica di Venezia. Nell’800 la villa stava per andare in rovina; fu Sante Giacomelli, industriale friulano, ad acquistarla e restaurarla. Nella prima guerra mondiale fu requisita dal comando militare, si trovò in mezzo alle sparatorie, ma non subì distruzioni, rimase indenne. Negli anni trenta l’acquistò il conte Giuseppe Volpi di Misurata, la affidò alla figlia Marina, che seppe averne considerazione.
La villa è nobile espressione del cinquecento, cura perfettamente la simmetria. Il frontone rispetta in toto quello dei templi antichi, ed è curato anche l’allineamento delle barchesse, a far comparire il tutto un’unica unità architettonica. Le meridiane sulle torri colombaie esprimono la volontà di Daniele di assegnare sacralità al complesso.
Ad abitare la villa è oggi Vittorio Dalle Ore, che prese in sposa la figlia di Marina. Nel 1996 il complesso è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Il dr Dalle Ore è personaggio poliedrico di costante impegno, che va dal seguire le necessità della villa rendendola disponibile alla città per mostre ed eventi, alla cura della campagna. Il terreno infatti, particolarmente vocato alla coltivazione della vite, lo rende costantemente impegnato a seguire i lavori in campo e in cantina. Si producono eccellenti vini, che ho avuto l’opportunità di assaggiare. Particolarmente avevo apprezzato il Manzoni Bianco DOC, incrocio tra pinot bianco e riesling renano, un vino bianco superiore. Fiore all’occhiello per la proprietà è il vino DOC che prende il nome della villa, MASER, un carmenere a bacca rossa in purezza.
Gravoso per la proprietà è anche l’impegno nel restauro del giardino storico, dove vien data particolare attenzione alla biodiversità, reintroducendo piante e fiori utili alla sopravvivenza delle api.
Volendo far visita al bello, Villa Barbaro e tempietto sono il bello totale. La visione del giardino e della villa dalla cancellata d’ingresso, è già sufficiente a far capire che qui è tutto perfezione.
Il Ninfeo disegnato dallo stesso Marcantonio, posizionato accanto alla sorgente, riconosce all’acqua la funzione sacra, nel fondere gli elementi cielo e terra. Le statue all’interno raffigurano divinità. I quattro giganti sono attribuiti a Marcantonio Barbaro. Dalla brocca di una divinità fluviale sgorga l’acqua della sorgente che riforniva un tempo villa e campagna. Nei periodi piovosi la sorgente è ancora attiva.
Sono 900 metri quadri gli affreschi di mano del Veronese, il più grande artista veneziano del ‘500, e questo ciclo è l’esaltazione dell’Armonia Universale del cosmo, certo uno dei suoi capolavori.
Sul soffitto della grandiosa sala centrale è di scena l’Olimpo, con al centro della composizione la Divina Sapienza. Una maestosità che non appesantisce, è leggera e armonica. Armonia presente in tutte le opere che arricchiscono l’intero edificio.
Una curiosità poco nota, nei suoi affreschi Veronese intenderebbe sempre inserire Venezia, rappresentandola come una donna bionda, in carne, la più bella.
Ne “I Quattro Libri dell’Architettura” del 1570, Andrea Palladio descriveva così la disposizione della Villa. “Dall’una, e l’altra parte vi sono loggie, le quali nell’estremità hanno due colombare, e sotto quelle vi sono luoghi da fare i vini.… e gli altri luoghi per l’uso della Villa”. Paolo Pilla