È carico di storia il Piave, anzi La Piave com’era chiamato nell’ottocento. I nostri antenati lo chiamavano al femminile per la fertilità che le sue acque donavano al territorio. Era considerato una grande mamma. Quando si trattò di definirlo “Fiume sacro alla Patria” gli venne cambiato il genere. Se aveva respinto il nemico, doveva essere maschio, e forte. Gli fu anche dedicato l’inno nazionale che durò fino al 1944 in sostituzione della Marcia reale, per rammentare le storiche gesta dei soldati italiani lungo le sue sponde, nel corso della Grande Guerra. Dopo la rotta di Caporetto, il fronte difensivo dell’esercito italiano, si era attestato sulla destra del Piave, e il fiume divenne la linea di difesa contro le truppe austro-ungariche e tedesche che non riuscirono mai ad attestarsi stabilmente oltre la sponda destra del fiume. Era bello l’inno, lo preferirei all’attuale.

……“Era un presagio dolce e lusinghiero, il Piave mormorò, non passa lo straniero”……….

Va ricordato che durante la prima guerra mondiale sul Piave morirono 650 mila uomini appartenenti ad ogni regione d’Italia. Le acque divennero rosse dal sangue dei soldati, per molti fu la tomba. È per questo che il Piave è considerato Sacro alla Patria.

Nasce sulle Alpi Carniche il fiume, dalle acque che lasciano le pendici del monte Peralba (m.2693), e divengono acque di risorgiva in Val Sesis e in Val Visdende. Per un tratto confina con l’Austria, poi scende 220 km attraversando il territorio veneto. A seguito della deviazione voluta dal Magistrato alle acque della Serenissima lascia nell’ultimo tratto la sua strada al Sile, e termina la sua corsa nell’Adriatico, a Cortellazzo di Jesolo. In precedenza sfociava un po’ più a sud, ai margini della laguna di Venezia, un tratto che i barcaioli chiamano “Piave Vecchia”. Nella sua corsa riceve dieci affluenti, e alimenta altrettanti laghi, di cui tre naturali (Misurina, Santa Croce, e Alleghe).

Il suo corso è turbolento, la sua portata è soggetta a notevoli variazioni: magre invernali, piene primaverili-estive. In qualche tratto  si formano le grave, greti ghiaiosi che hanno fatto ricchi i cavatori dediti ad estrarre questo “oro bianco”, talvolta con escavi selvaggi.

In queste zone ghiaiose alligna il vitigno “raboso” che non è di gusto eccelso, ma ha il pregio di non andare in aceto, perché già acido di suo.

Le due sponde non sono distanti tra loro, ma è curiosa la differenza nel comportamento, e nel linguaggio. Per dirne una, sulla sponda destra è Gesù bambino a portare i doni a Natale, sulla sinistra è San Nicolò. Altra curiosità, è l’uso del detto “Razza Piave” riferito alle persone, col significato di molta positività.

Il Piave ha le sue criticità difficili da gestire, ma è anche stato valido contributo per l’economia. Oltre a provvedere ad irrigare i campi, il Piave era un tempo importante via di comunicazione, si pensi alle zattere: più di 3000 all’anno, per portare  gli alberi destinati alle galee e alle briccole, dalle foreste del Cadore all’arsenale di Venezia; e le pietre di Castellavazzo per i “masegni”; e ancora il ferro dallo Zoldano. Anche Tiziano Vecellio era interessato agli zattieri, perché il padre era proprietario di segheria a Venezia.

La Serenissima dovette perfino regolamentare la navigazione delle zattere. Fu il doge Agostino Barbarigo, nel 1492, a disporre lo statuto degli zattieri del Piave, centinaia di uomini robusti, rotti alle fatiche. Per il trasporto dei tronchi era necessaria tanta manodopera: di boscaioli, di chi trasportava i tronchi fino al fiume (i menadas), dei segantini, degli zattieri. Si pensò anche di impiantare alcune segherie lungo il percorso, per far arrivare in città il legno già in parte lavorato. Venezia ha sempre avuto e continua ad averne bisogno di tanto legno; l’attività degli zattieri durò fino agli anni venti del secolo scorso.

Oggi la sua acqua è utilizzata per creare energia idroelettrica: lungo il percorso sono state  sistemate varie centrali. Per questo la portata del fiume alla foce si è ridotta di 1/3. Ciò nonostante non sono state escluse le esondazioni torrentizie, che avvengono per la maggiore in novembre.

Le zone rivierasche sono ancora a  rischio idrogeologico. Si stanno creando casse di espansione, ma la cosa crea conflittualità, tra chi guarda di più all’ambiente e chi alla sicurezza. Sono ben otto i Comuni del medio Piave, che hanno fatto ricorso contro una cassa d’espansione sulle grave di Ciano. Certo che l’intensità degli ultimi rovesci ha messo in evidenza l’importanza della difesa idraulica. Lo scorso mese di ottobre le precipitazioni sono state doppie rispetto alla media.

Il clima è cambiato, il rischio di un altro 1966 è elevato. L’autorità di bacino ha prescritto il monitoraggio costante del pericolo alluvioni, con particolare attenzione per le aree di pregio. Le casse di espansione sul Piave sono necessarie, ma devono essere realizzate in sostenibilità, tutelando paesaggio e biodiversità. I consorzi di bonifica, che sono i veri esperti del settore, dicono: non serve innalzare muri, ma creare ampie superfici non edificabili. Chiaro!

È valida l’esperienza del bacino di laminazione di Riese Pio X,  in un’eventuale emergenza alleggerisce i corsi d’acqua, può salvare da alluvione un ampio territorio.

Il Piave ha le sue criticità difficili da gestire, ma è anche stato valido contributo per l’economia.

Da sempre punto di riferimento, il Piave è stato luogo che ha dato ai trevisani gioie e dolori, gaiezza per lo svago dato dalla balneazione che tuttavia può essere pericolosa, sofferenze dagli scenari di guerra e dalle alluvioni. Ma costantemente amato. A farci il bagno è molto divertente per lo scenario sempre diverso, le alluvioni possono essere molto cattive. Basta pensare a quella del 66 che ha distrutto strade e ponti, perfino la ferrovia. Personalmente ricordo le passeggiate a cavallo, ma anche le nuotate in compagnia del cavallo. Son passati tanti anni, ma ricordo bene quel tratto del Piave a Moriago della Battaglia tra Riva Alta e Isola dei Morti in cui la corrente era più forte, era bellissimo nuotare spinti dalla corrente, i cavalli si cimentavano anche loro.

Il pensiero di Gabriele D’Annunzio: «Non c’è più se non un fiume in Italia, il Piave; la vena maestra della nostra vita. Non c’è più in Italia se non quell’acqua, soltanto quell’acqua, per dissetar le nostre donne, i nostri figli, i nostri vecchi e il nostro dolore».                                  Paolo Pilla