Sono scarne le notizie di Castelfranco del tempo della preistoria, ma qualche traccia c’è, pensiamo ai rialzi tumuliformi risalenti all’età del bronzo, trovati in luoghi vicini. La stessa Castelfranco nacque attorno al castello che era stato eretto su un antico castelliere, qui chiamato “motta”, un ampio terrapieno creato dagli Eneti per segnalazioni, e particolarmente in questa località, anche per osservazioni astronomiche. Il castello fu eretto nel XII secolo da Treviso Comune medioevale. Le possenti mura munite di un camminamento di ronda e cinte da ampio fossato, rinforzate nel 1246 da Ezzelino III da Romano, erano alte 17 e spesse 1.70 metri. Bastarono per mettere a riparo il luogo dalle turbolenze provenienti dalle vicine Padova e Vicenza, i confini furono salvaguardati. Erano due le porte di accesso, una a Est detta del Giorgione, e una a Ovest verso Treviso, la  “porta franca”, non lontana da quell’alto torrione merlato simbolo della città. Avevano il loro ponte levatoio, e due varchi pedonali, uno a nord, l’altro a sud. Anche l’esterno era strutturato per tenere a bada il nemico: siepi di spine tra le mura e il fossato, un terrapieno, e un secondo fossato.

Il toponimo CASTELFRANCO dava rispondenza  al reale stato delle cose: non era popolato il luogo, chi fosse andato a vivere accanto al castello, e a difenderlo, sarebbe stato esonerato dai tributi; ecco allora CASTELLO perché il luogo nasce attorno al maniero, FRANCO perché libero (franco) da gabelle. Fu così che nel Trecento si  formò l’iniziale insediamento, che oltre a strumento di difesa, fu ospizio per i viandanti. Da allora, il castello medioevale continua a essere il simbolo della città che conserva molto bene la sua bellissima cinta muraria, comprese cinque delle sei torri, di cui la maggiore, la torre civica alzata dai Veneziani fino a 43 metri, ostenta il bell’orologio e il leone di S. Marco in pietra d’Istria del XV secolo.

Una parte di quelle mura furono danneggiate nell’assedio durante la guerra di Cambrai, poi riprese. Non si limitarono a lavorare la terra quelle genti, divennero bravi artigiani, e la felice posizione geografica li rese abili commercianti.

Il sito, scelto già dai Venetici per la vicinanza all’acqua e per la buona terra, è in prossimità del torrente Muson, che risulta confine naturale della Marca Trevigiana  con il territorio di Padova.

Gli Enetoi ricevettero i Romani con cui ebbero subito buoni rapporti, furono introdotte le centurie ancor oggi visibili per qualche tratto non lontano dalla città; nel 2° secolo a. C. costruirono la strada Postumia, che passando nei pressi di Castelfranco, e attraversando la via Claudia Augusta Altinate, da Genova giungeva ad Aquileia.

Dal ‘300, salvo la breve parentesi di Francesco 1° da Carrara, fu dominio della Serenissima fino alla caduta di questa per opera di Napoleone. I suoi eventi successivi sono pressoché gli stessi delle altre terre venete: Napoleone, l’Austria, poi l’annessione al Regno d’Italia, che la promuove al grado di città. Subisce  devastazione e morte nella prima guerra mondiale, poi i bombardamenti catastrofici della seconda, e infine l’agognata pace.

La forte tempra veneta di quegli abitanti riuscì a far mettere da parte l’angoscioso recente passato, e a progredire velocemente. Oggi è una bella città laboriosa che vede volentieri gli ospiti in visita, orgogliosa del suo passato medioevale, della sua cultura, delle sue ricche testimonianze.

Dato per scontato che le cose più importanti a Castelfranco sono il castello

con le sue mura degne di ammirazione, andiamo ora a conoscere altre bellezze.

Una di queste è certamente il Duomo.

Situato entro il perimetro delle mura del castello, è stato eretto nel ‘700, sulle ceneri dell’antica chiesa romanica; l’edificio è esemplare dimostrazione di architettura neoclassica. La parte avanzata della facciata è divisa da quattro semicolonne doriche, che sorreggono un architrave. Lesene doriche incorniciano anche le due sporgenze laterali della facciata. Il portale d’ingresso è abbellito da un timpano, una scalinata lo collega alla piazza. Al suo interno si trovano numerose opere d’arte di grandi artisti come Palma il Giovane e Jacopo da Ponte. La Pala sull’altare è l’unica pala fatta dal Giorgione, realizzata nel 1502. La preziosa opera ebbe a subire un trafugamento, dal 2006 è tornata al suo posto. Del ‘700 è il grande organo Callido. Un po’ arretrata sale la torre campanaria, bella, ottenuta scalzando in parte la cinta muraria. Sempre del ‘700 è il Teatro Accademico,

edificato per la duplice funzione di rappresentare spettacoli, e come sede per le adunanze degli Accademici. La passione per la cultura ha permesso alla città di avere il suo Conservatorio di musica.

Dedicato al  compositore Agostino Steffani che qui ebbe i natali, è sistemato in una posizione felice, nella musicale, graziosa casa Barbarella.

Accanto al Duomo, c’è casa Pellizzari, il museo del grande ed enigmatico artista quattrocentesco Giorgio o (Zorzi) da Castelfranco, detto Giorgione, straordinaria figura della storia della pittura. Era così chiamato perché alto di statura, morale e fisica. Oltre a condurre alla lettura della Pala d’altare, il museo ci presenta un altro suo capolavoro, il Fregio delle arti liberali e meccaniche. È questo un complesso ciclo di affreschi, fatto proprio per questa casa, e di grande fascino, che rappresenta La Marca in quel momento di grande fermento culturale.

Villa Revedin, poi Rinaldi, poi Bolasco e infine  Piccinelli è una villa veneta del XIX secolo che si trova a breve distanza dal centro della città del Giorgione, in Borgo Treviso. Fu costruita sulle macerie del “Paradiso”, l’antica proprietà della famiglia Morosini, passata poi ai Cornaro. Il nome Paradiso fu attribuito da Caterina Cornaro all’antica villa, nei momenti di distensione che godeva nel risiedervi.  Con il suo parco è un gioiello, rappresenta la vita del patriziato dell’ottocento.

All’interno della villa fa bella mostra di se lo scalone del Meduna, l’architetto che l’ha progettata, il salone da ballo con gli affreschi opera del pittore Giacomo Casa da Conegliano (significativo esempio degli affreschi nelle ville venete), e le scuderie particolarmente curate, per la passione equestre del conte Revedin. La raffinata decorazione a ventaglio del soffitto, è affine a quella che il Meduna aveva usato nella ricostruzione del Teatro La Fenice di Venezia.

Dietro l’elegante villa, otto ettari di parco all’inglese, che ha vinto il titolo di “Parco più bello d’Italia“.

Davvero bello, con il giardino romantico, mille alberi storici, una farnia di un metro e mezzo di diametro, il lago, e strutture edili dell’ambiente.

Il torrente circonda due isolette, infine la splendida Cavallerizza circondata da 52 statue del ‘600,

in pietra di Costozza, riproponenti Divinità fluviali, Baccanti, Suonatori, Ninfe, simboli delle Stagioni, figure allegoriche sulla Fortuna, su Vizi e sulle Virtù. Anche questo, orientato alla diffusione dell’arte e della cultura.

Tutto  è oggi proprietà dell’Università di Padova, che ha provveduto al restauro di parte della Villa e del giardino. Lo ebbe in dono da Renata Mazza vedova Bolasco. Le stanze e il Parco sono  luogo d’incontro delle arti con il popolo: ogni anno torna a ricevere il pubblico, per la diffusione della cultura nella musica, arti, scienza. L’Università saprà certamente far ritrovare e conservare al luogo, la sua originaria antica definizione: “Paradiso delle Arti e della Cultura”.             Paolo Pilla