Situato nell’Alta Marca, sulla propaggine nord-occidentale del “Quartier del Piave” di cui è storia, Vidor è costituita da una importante distesa di terra fertile, e da una parte collinosa articolata, che dà accesso alle Prealpi. Le colline fanno parte del sito Patrimonio UNESCO.

Già nel Medioevo era punto strategico come nodo stradale, ma anche fluviale, quando il trasporto via d’acqua era d’uso frequente. La sua storia è tuttavia più antica, come tutte le cittadine del Quartier del Piave. Popolata fin dalla preistoria, ebbe impulso nel Medioevo per l’importanza del suo porto fluviale. Nel 1986 è stata rinvenuta una piccola necropoli sotto piazza “Maor”, risalente al periodo romano, durante il quale furono realizzati il passaggio della via Claudia Augusta Altinate, e la sistemazione agraria nel modo della centuriazione.

Oltre ai Romani la conobbero i Cimbri, che scesero nella valle del Piave cent’anni prima di Cristo, e i Longobardi (i Winnili nomadi dalla lunga barba), che guidati da re Alboino, giunsero nel ‘500 dalla Scandinavia.

In quanto punto di passaggio fu a lungo  portofranco, con il transito e il posto di guardia facilmente sorvegliati da una fortezza. All’epoca fu costruito anche un ospitale per uso dei pellegrini, gestito dalla Confraternita di Santa Maria dei Battuti. E ancora l’abbazia del 1100, edificata dal feudatario.

Fu nell’ottocento che Vidor si sviluppò industrialmente, e si dedico in particolare alla coltura del baco da seta. Sono ancora oggi celebrate le filande Zadra, che sono state importante aiuto a evitare la povertà agli abitanti.

Il territorio, diversificato e policromo, con un sistema collinare complesso, è racchiuso dalle Prealpi, dal monte Grappa, dal Cesen, e dal Cansiglio, che segnano il confine con la Provincia di Belluno.

È chiaro che a dar vita e impulso a Vidor è stato il Piave, il fiume “sacro alla Patria”.

C’era un tempo un ponte di barche, ora c’è lo storico ponte che collega le due sponde, costruito nell’ottocento. Fu più volte distrutto dalle piene del fiume, e minato dagli stessi italiani in fuga dopo la rotta di Caporetto, per impedire il passaggio agli austriaci.

È importante per la viabilità odierna, ci sono pochi ponti sul Piave che permettono il passaggio dall’una all’altra sponda. Ora il manufatto, che qui sovrasta un’acqua turchina, è ammalorato; ha fatto il suo tempo, è necessario il suo rifacimento.

Sobria e bella è l’Abbazia dedicata a Santa Bona, che non fu solo fruita dai religiosi, i Benedettini di Pomposa, bensì anche per attività economiche. Cosa questa, comune in tutto il Quartier del Piave.

Nel XII secolo Giovanni Gravone, signore del castello, con un nutrito manipolo di uomini parte per una crociata a Gerusalemme. Al ritorno ha con se i resti mortali di alcuni santi, tra cui quelli di santa Bona, le cui spoglie vengono deposte nella chiesetta del castello. Nel 1106, il nobile fa costruire un’abbazia intitolata alla santa, collegandosi con i monaci Benedettini di Pomposa a cui dona un vasto terreno, la chiesetta, e i diritti di attracco sul Piave.

Del complesso, costruito sotto uno sperone roccioso accanto al “porto” fluviale, fanno parte La chiesa a unica navata, il bel campanile, e il chiostro in cui fanno bella mostra 24 colonne, di cui tre “annodate al centro” (la quarta fu distrutta durante la guerra e sostituita da una singola).

Le colonne ofitiche (annodate) sono simbolismo ricorrente nella Loggia Massonica. Al centro del giardino conventuale si trova un pozzo, raggiungibile da vialetti. Una parete del chiostro arricchisce il luogo, con un grande affresco del XV secolo, attribuito alla scuola di Giotto.

L’altar maggiore della chiesa, risalente al 500, conteneva le reliquie di Bona, la principessa santa egiziana, da cui deriva il nome dell’abbazia, e che significò per la città di Treviso  un quartiere che porta il suo nome. Fino al Trecento fu grande l’importanza del monastero, cessò quando alcuni abati ebbero a condurre vita licenziosa. Nel 1773 l’abbazia venne soppressa, i suoi beni venduti al nobile Niccolò Erizzo, che provvide poi anche al riordino del complesso, subì poi i bombardamenti della prima Guerra Mondiale. Ora, ristrutturata, è   privata, ed è considerata patrimonio storico della Regione Veneto. Non più convento, è dedicata a progetti culturali, particolarmente orientati alla musica, con eccellente sala per concerti, ma è ancora in grado di trasmettere quella percezione di sacralità che rilasciava il monastero.

Anche la chiesa parrocchiale, eretta a sostituire l’antica chiesetta del castello che serviva in quel tempo per far assistere anche i popolani alle funzioni religiose. Ad una sola navata, i numerosi altari risalgono al Settecento; il maggiore è di un bel marmo, arricchito con opere del Canova, o di quella scuola. Bella, nella piazza principale, la fontana monumentale donata dalla famiglia Zadra: Tre vasche l’una sopra l’altra, la più alta è con sculture bronzee, da cui zampilla l’acqua. Interessante per molti aspetti è la frazione di Colbertaldo, la cui storia si lega alla famiglia Di Colbertaldo dell’XI secolo, che qui possedeva un castello. Inconfondibile la chiesa, del ‘700, che posta sulla vetta di una collinetta serve ancora una lunga scalinata per raggiungere l’accesso. Il grande altare in marmo bianco venato di rosso s’impone sul resto, dietro di esso la grande pala effigiante il martirio di Sant’Andrea. Ai lati, tre altari scolpiti dagli artisti della Val Gardena. Sopra la porta una pala di artisti locali, richiama il dipinto di Tiziano, nella basilica dei Frari di Venezia.

È oggetto di venerazione il Santuario della Madonna delle Grazie eretto nel ‘300 dai Servi di Maria,

che lasciarono il convento di Santa Caterina di Treviso per salvarsi dalla peste nera.

Ma parliamo di cose gradevoli: Qui si mangia bene, e si beve meglio. Sono passati anni, ma ricordo bene

per esser stato più volte con un amico di allora a visitare le vigna delle sorelle Bronca a Colbertaldo. In alcuni tratti dei sedici acri coltivati a vite, si può definire viticoltura eroica.

Per aspera ad astra”: due straordinarie donne “di collina”, un’azienda a conduzione famigliare, un’eccellenza di vini.

Di una vivacità unica, a settembre, il Palio di Vidor – “Assalto al Castello”.

Alcune squadre vidoresi in opposizione ad altre, tra cui Petritoli, una cittadina marchigiana gemellata, rievocano l’assalto ungaro al Castello di Vidor. Bella la sfilata in abiti medievali.

Un grazie a Dario Bordin per aver messo a disposizione le immagini.

Dai suoi scatti emerge l’arte della fotografia

Paolo Pilla