Onigo è una frazione del comune di Pederobba, in essa ha luogo anche la sede comunale. È situato in un pianoro a quasi 200 mt s.l.m., tra la sponda destra del Piave e quelle alture asolane che formano una bella teoria di colli di composizione rocciosa, originatisi 60 milioni di anni fa dai movimenti tettonici che hanno fatto emergere i depositi marini. Se ne può godere la vista percorrendo la Valcavasia,
che da Possagno scende a Pederobba toccando Cavaso del Tomba. La comunicazione tra i due versanti dei colli asolani è una poesia: la Forcella Mostaccin, compresa tra le due cime maggiori della catena, da Maser ci porta a Monfumo. Scendendo dai “Campazzi di Onigo”, ecco la cattedrale verde che ha potuto conservarsi così bene perché fin dai tempi della Repubblica Serenissima non è mai stata industrialmente sfruttata.
Oltre a godere dell’acqua del Piave, il territorio è bagnato dal torrente Curogna che nasce dal Grappa, e si getta nel Piave proprio a Onigo. Il torrente ha la curiosa particolarità di essere attraversato dal canale della Brentella, senza che le acque interferiscano tra loro. È lo stupefacente “Salto del Gatto”, un’opera di quel grande genio che fu Fra Giocondo: un canale che ne attraversa un altro, senza che le acque si mescolino. Fu fatto per evitare che durante le piene il torrente potesse versare nel canale sassi e limo. Un ponte, e un geniale intreccio di canali e rive.
La storia della cittadina si lega fin dal XII secolo alla nobile famiglia trevigiana Onigo, feudataria, i cui membri fecero anche parte del consiglio dei nobili di Treviso. Furono una delle più potenti famiglie della zona, tra loro Guglielmo e Gherarduccio, che favorirono il colpo di Stato del 1327, messo in atto da Guecello Tempesta, per conto della famiglia Della Scala, gli “Scaligeri”. Nel 1356 si ribellarono alla Repubblica di Venezia, furono sconfitti, ma alla fine il Doge li perdonò.
Sono visibili i resti del loro castello medioevale, il castrum, un fortilizio strategico che nel ‘300 servì a difesa di quest’area dagli attacchi dapprima del Conte di Gorizia, e poi degli Scaligeri. Di utilità lo fu ancora durante la Prima Guerra Mondiale, per il controllo di questa area del Piave. Nel tempo fu dominio di Ezzelino III da Romano, e a seguire entrò in possesso del Comune di Treviso, ma non per molto tempo: Lo dovette restituire agli Onigo su comando del tribunale.
Il sito storico è detto Mura Bastia, è stato oggetto di studi da parte della soprintendenza, che ha messo in atto campagne di scavo. Dalle strutture rimaste in piedi ritenute rilevanti, era difficile un corretto rilevo, anche in considerazione dei crolli avvenuti di recente, con quanto rimasto in piedi, soffocato dalla vegetazione. Ulteriori particolarità hanno impegnato archeologi e topografi, nel tentativo di dare una esatta definizione; alla fine si è potuto estrarre un modello accurato di tutto il castello di Onigo, struttura di particolare curiosità. L’avvenuta pulizia e sistemazione dell’area permette oggi la visita ai resti del vecchio misterioso maniero.
Di un altro conte Guglielmo d’Onigo, si parla nel 1872: uomo buono, generoso, amato e rispettato da tutti. Ebbe una figlia naturale, che poi adottò, Zenobia Teodolinda Costanza, con la domestica svizzera Catherine Jaquillard. La figlia si manifestò di tutt’altra natura, avara e scostante. Tuttavia, alla morte del genitore che aveva fatto del bene a tutti, essa fece erigere un tempietto circolare a suo ricordo, nel brolo di villa Onigo, al limite del bosco.
Era il 1903, erano tempi magri. Nel paese di Trevignano, viveva un certo Pietro Bianchet che coltivava due campi di terra appartenenti agli Onigo, una vita grama che divideva con la moglie e una figlia. Un giorno era andato a Treviso a sistemare il giardino che Teodolinda aveva accanto al suo palazzo, il terreno che da piazza Sant’Andrea, degrada verso il Sile. Chiese del denaro per il bisogno della famiglia, ma non l’ottenne. Anzi fu anche redarguito. Tornò il giorno seguente, rinnovò la richiesta alla contessa di una balla di fieno, ma ottenne l’ennesimo rifiuto. Accadde allora “il delitto della contessa Onigo” rimasto famoso: con due colpi di scure, il Bianchet tagliò la testa a Teodolinda, ultima erede del conte Guglielmo. Il processo avvenne in un clima di odio verso i “padroni”, la Corte di Assise di Venezia comminò una pena lieve all’assassino: 8 anni e 9 mesi, riconoscendogli la seminfermità di mente e le condizioni di sfruttamento. Il popolo, irato, cercò di vandalizzare la salma, che in tutta fretta fu nascosta, per molto tempo non si seppe dove, forse interrata in giardino con il suo amato cavallo bianco. Fu soltanto nel 2014, durante il restauro del tempietto, che si scoprì dove. La salma decapitata della contessa, era sepolta accanto ai suoi genitori, Catherine e Guglielmo d’Onigo, sotto il tempietto.
Sulla cresta di una collina accanto al castrum, circondata dal bosco, c’è la chiesa di Sant’Elena Imperatrice,
legata ai pellegrinaggi in Terra Santa. Nel Medioevo era l’antica cappella campestre degli Onigo, vi sono conservate le spoglie di quel primo Guglielmo d’Onigo, vissuto nel ‘300.
A lato c’era un eremo di origine benedettina, occupato da un uomo solitario che campava coltivando un orticello. Nel ‘900, in quell’eremo si stabilirono i monaci Camaldolesi.
Seppur che non vennero del tutto rispettate le volontà di Guglielmo d’Onigo, ogni anno viene celebrata una messa solenne in memoria.
Tra le tante opere ascrivibili agli Onigo, va anche tenuta presente la costruzione della strada Pederobba-Bassano.
Non è universalmente noto, ma fu il conte Fiorino Onigo a far costruire il teatro comunale di Treviso. Inaugurato nell’ottobre 1692, sorgeva dove si trova lo stabile attuale, in contrada San Martin, ma non ebbe vita lunga. Già nei primi decenni del ‘700 fu abbattuto, per lasciare il posto alla riedificazione voluta sempre da un Onigo, il conte Guglielmo. Il teatro rimase proprietà Onigo fino al 1846, il 2 ottobre 1868 crollò distrutto da un incendio. A conclusione delle vicissitudini, è divenuto un teatro di eccellenza, proprietà del Comune di Treviso.
È vivo il ricordo in questa terra di Giovanni Comisso, che nell’infanzia ebbe qui la sua balia, e che vi tornava sempre volentieri. Alcuni suoi romanzi raccontano le esperienze locali. Diciannovenne, era qui a Onigo quando gli giunse l’ordine di arruolarsi e di partire per la grande guerra.
Immagini resemi gentilmente disponibili dallo studio fotografico Fotocomaron che ringrazio. Paolo Pilla