Cittadina ricca di storia, i suoi abitanti, sono veri veneti: laboriosi, attenti, infaticabili, il che permette loro una vita dignitosa e di benessere.

A segnare la sua storia, recente e lontana, è stato ed è il Piave; o meglio la Piave, com’era in uso al femminile fino all’800, quando per una questione grammaticale, il nome del fiume  divenne di genere maschile. Per la popolazione è stato fonte di lavoro, di cose liete, ma anche di sofferenze subite, sempre gagliardamente superate. Scende dalle falde del Monte Peralba il Piave, supera Maserada  dividendosi per un tratto in due rami, sfocia poi nell’Adriatico, all’estremità della laguna di Venezia. È a buona ragione noto come fiume Sacro alla Patria, per le battaglie combattute  lungo le sue sponde, durante la Grande Guerra. Nel novembre 1917 la popolazione della zona dovette essere evacuata, nel giugno del ‘18 divenne celebre per la battaglia del solstizio:  Il giorno 23 di quell’anno le armate nemiche di stanza alle Grave di Papadopoli ricevettero l’ordine di ritirata! Seppur vero che il fronte italiano aveva intensificato il fuoco dell’artiglieria, riducendo inagibili i ponti sul Piave costruiti dagli austriaci a Cimadolmo, Salettuol, e Candelù, questo non bastava. Un formidabile aiuto venne dal fiume stesso, che arrabbiato e mormorante, aveva deciso di far percepire impossibile l’attraversamento, stante il suo vigore.

Il toponimo Maserada discende probabilmente dal latino “maceries”, dato per i tanti ciottoli portati dall’acqua del Piave nel suo scendere a valle. Sono ben note nel territorio le cave di estrazione di ghiaia, per la quale qualche abitante è convenuto a nozze con la  ricchezza.

La  storia di Maserada, che si trovava nel bel mezzo della Gallia Cisalpina, si lega particolarmente al periodo romano, ché la sua posizione era strategica. Roma infatti ebbe sul territorio due importanti vie di comunicazione, due strade imperiali: La Claudia Augusta Altinate, che collegava Altino con Ausburg mettendo in contatto Roma con il Danubio in Baviera, e che servì anche alla conquista del Tirolo e del meridione della Germania. E la Postumia che era presente invece, già cent’anni prima di Cristo, tracciata dal console Spurio Postumio Albino nel 148 a.C.; congiungeva Genova con il grande centro nevralgico di Aquileia, porto fluviale accessibile dal Mare, via di accesso all’area balcanica, e attraverso le Alpi, alla Via dell’Ambra.

Proprio lungo la Postumia son venuti alla luce numerosi reperti che certificano la presenza di insediamenti antichi quali tombe, e materiale fittile. Le centuriazioni sono tuttora visibili, ma c’è un toponimo che mi ha sempre incuriosito, via Castella, un tempo “Castellir”. Si dice che fosse presente lì una fortificazione romana, sono propenso a credere che lì, ancor prima del forte romano, esistesse un castelliere fortificato, al servizio di un insediamento venetico. Gli antichi Veneti sapevano ben scegliere il posto dove stanziarsi, quel luogo era ricco di acque e di boschi, e vi si stabilirono.  Il recente ritrovamento, a seguito di lavori  di escavazione in centro paese di anfore, resti umani e utensili risalenti al Sesto Secolo, sta a significare che il luogo era abitato nel periodo longobardo.

Dopo la caduta dell’impero romano, Maserada trascorse un lungo periodo di inerzia, con i terreni aridi e incolti, maltrattati dalle piene del Piave.

Nel 958 il  Re d’Italia Berengario 1° aveva fatto dono a Rambaldo di Collalto del bosco del Montello e della Corte di Lovadina, con tutte le sue pertinenze, a queste appunto appartenevano le terre di Maserada. Era rilevante il posto, lì si poteva guadare il Piave, c’era un piccolo porto fluviale ancora oggi presente, seppur nascosto e a pelo d’acqua. In apposita missione ebbi  occasione di cercarlo quello scalo, e lo trovai, praticabile ormai solo a cavallo. Con i Collalto, Maserada si risollevò.  

Nel ‘200 dovette subire i saccheggi degli eserciti in battaglia: gli Ezzelini, e nel ‘300 i Carraresi.

Appartenente ormai alla Serenissima Repubblica di Venezia, era parte di uno degli otto quartieri, la “Zosagna”, in cui era divisa la podesteria di Treviso. Stabilità e pace duratura le ebbe solo alla fine di quel secolo, quando cessò la guerra contro la Lega di Cambrai, di cui dovette comunque subire le conseguenze. I Veneziani diedero presto mano alla bonifica del sito, e alla robusta arginatura del fiume, che protesse la zona dalle devastazioni provocate dalle piene.

Nel ‘500 la zona, seppur migliorata e adatta all’insediamento umano, era ancora abbastanza poco ospitale, parte incolta e con acquitrini. I villaggi assumevano il nome dalla caratteristica del posto, come ad esempio l’attuale Salettuol – “salicetum”, bosco di salici,- piante tipiche ancora oggi dell’alveo del Piave.

C’era un tempo già nel ‘200, nel villaggio di abitazioni fatte di sassi, la chiesetta “di San Giorgio”, annoverata tra le cappelle di cui veniva dotata l’Abbazia Sant’Eustachio di Nervesa. Sulle basi di quell’antica cappella, venne edificata nel ‘700 la bella chiesa di Maserada, la parrocchiale, che ancora oggi dà il titolo a San Giorgio Martire. L’edificio dalla facciata neoclassica, con il frontone sorretto da colonne corinzie e i capitelli ornati da foglie d’acanto, svela all’interno influenze barocche. Ad abbellire gli interni, un grandioso ciclo di affreschi, eseguiti a fine ‘700 da Gianbattista Canal, pittore veneziano  noto come il “velocissimo frescante”. Di particolare rilievo la “Glorificazione di San Giorgio” sul soffitto della navata principale. La chiesa è stata uno dei pochi monumenti religiosi a non essere distrutto dalle bombe, ci sarà stata forse l’attenzione di San Giorgio? Lesionata nei bombardamenti  era stata solo la torre campanaria, con la sua attraente cuspide a cipolla, campanile che fu poi restaurato.

A sostegno del capoluogo ci sono due frazioni: Candelù e Varago, a cui va aggiunta la località Salettuol, luoghi di ampio significato: Candelù, eccellente per l’agricoltura, si trova proprio sul fondo praticabile del Piave dove le acque, superata l’isola di Papadopoli, si riuniscono. A Salettuol il Piave raggiunge la sua massima larghezza, e qui è bella l’Oasi del Codibugnolo: un’ampia golena in cui sono presenti alberi primitivi, come il pioppo nero. È sulla destra del fiume, ma in passato, a causa di una intensa piena, si trovò essere sulla sinistra. L’arginatura fatta su ordine del Magistrato alle Acque della Serenissima, poté salvare il paese dalle inondazioni frequenti. La buon’aria e la particolarità del territorio, contribuì  a far nascere alcune ville venete nell’ambito del territorio comunale, tra le quali ritengo degna di nota Villa Sugana, del ‘500, sorta come complesso domenicale, in seguito ampliata, poi restaurata nell’Ottocento da Antonio Caccianiga. Bella! Poco lontana c’è altra interessante: Villa Vitturi, in via Saltore, ora hotel di classe. A Varago, da sempre la parte più “in” del Comune, c’è Palazzo Zandi, del Settecento, eretto su una preesistente casa colonica. È conosciuta come la “Casa da villeggiatura” del canonico Francesco Schioppalalba. Varago era meno soggetta ai disordini del Piave, ebbero qui dimora nobili famiglie, e  apprezzabili personaggi, come Jacopo Bonfadini, illustre letterato. Nel mese di settembre, Varago ospita la più grande Fiera Nazionali degli uccelli e animali da compagnia.       Paolo Pilla