Possagno è adagiato accanto alle falde del Monfenera, a segnare il versante meridionale del Monte Grappa. Oltre ad esserci eccellenti pascoli, il territorio  ha cave di ottimo marmo.

Va subito detto che la maggior fama del paese deriva dall’aver dato i natali ad Antonio Canova, e di lui parleremo. Il Canova ebbe presto contatto con questa “pietra splendente“, l’aveva fuori porta di casa. Il padre infatti, oltre che architetto, lavorava nel marmo, elemento che dava lavoro a tanti in paese.  E il marmo rese Canova famoso  nel mondo. Nato a Possagno nel 1757 da Pietro Canova e da Angela Zardo, Antonio rimase sempre legato al suo luogo natio nonostante la vita lo avesse portato spesso lontano. Amò sempre la sua terra, vi ritornò ogni volta che poté. Perse il padre all’età di quattro anni, la madre si risposò ben presto, crebbe quindi con il nonno paterno Pasino, anch’esso abile scalpellino. Era costui dal carattere piuttosto burbero ma, colto e intelligente, intuì ben presto le capacità del nipote, e lo mise all’opera a villa Falier di Asolo. Il suo talento artistico fu presto capito dal Falier, che, acceso dall’entusiasmo, chiese al nonno l’affidamento del ragazzo. L’ottenne, e si prese cura della sua formazione, portandolo a lezione da un artista asolano. Quando ebbe 11 anni lo sistemò garzone in una bottega a Venezia, dove il giovane Canova guadagnava qualcosa che gli permise la frequenza serale dell’Accademia. Anche il nonno sentì il desiderio di aiutarlo, vendette un podere che servì ad Antonio per potersi dedicare maggiormente allo studio. Si  dedicò anche alla pittura, era abile, ma non era mai soddisfatto, sentiva la necessità di fare continui ritocchi. Il Falier lo seguiva sempre, e anche gli commissionava lavori. Nel 1776, a 19 anni, ebbe grande successo alla fiera dell’arte veneziana, e questo gli fece raggiungere la vetta.

Fu lui a disegnare il monumentale tempio del paese, ma non riuscì a vedere l’opera compiuta. Il 13 ottobre 1822 infatti, Canova cessò di vivere a Venezia: furono celebrate importanti esequie nella basilica di San Marco, e il 25 ottobre ebbero luogo i solenni funerali a Possagno. Il fratellastro, l’abate Giovanni Battista Sartori, divenne l’erede universale. Del tempio era pronto solo il lastricato del pavimento, ma l’abate parte con passione: coordina i lavori, sollecita gli abitanti dei paesi limitrofi che prontamente rispondono, offrendo la loro opera con entusiasmo. L’abate provvede poi alla chiusura dello studio di Roma,  trasporta a Possagno e sistema nella Gipsoteca la gran mole di gessi, marmi, gli oli, le numerose tele, gli attrezzi da lavoro.

Tre sono gli edifici più importanti a Possagno donati al paese dal fratellastro: il Tempio e la  Gipsoteca che il Sartori ricevette in custodia da Antonio prima della morte, con la consegna di portare a termine i lavori non ancora ultimati, e l’Istituto Cavanis, voluto postumo dall’abate.

Il tempio è un edificio neoclassico progettato dal Canova, costruito ai piedi di un colle un po’ discosto dal centro abitato, difronte alla casa dello scultore. È particolare l’architettura: l’artista volle inserire lo stile greco, il romano, e dare risalto alla cristianità. Ecco che sono doriche le sedici colonne del peristilio innalzate in pietra locale a ricordare il Partenone; il corpo centrale rammenta il Pantheon romano; l’abside, più elevata, è tipica della chiesa cristiana. La facciata, con il pronao neoclassico, è simile al Duomo di Treviso. Del tutto particolare è anche l’interno del tempio: cupola ornata da 224 cassettoni, con la chiave di volta ampia oltre 5 metri, da cui scende la luce.

Sopra l’altare spicca la pala della Deposizione dipinta dal Canova, dietro di essa un organo del 1830, originario Callido, ampliato da Malvestio. 

Le nicchie ospitano opere d’arte: a sinistra  la tomba in cui hanno trovato sepoltura l’artista e il fratellastro, completata con i loro busti in marmo; quello del Canova è autoritratto. Gli altari in stile ionico, sono ornati da importanti dipinti come quelli di Palma il Giovane. Considerevoli le Mètope, quelle formelle in pietra di carattere biblico, scolpite a rilievo.

L’Istituto Cavanis fu voluto dal fratellastro, inteso a dotare Possagno di una scuola gratuita, diretta dai Padri Educatori delle scuole di carità. Dal 1857, ospita i giovani dalla primaria fino al liceo, cura i valori di rispetto, moralità, onestà, anche lo sport. Una ricchezza, non solo per Possagno!

Sulla gipsoteca ebbi modo di scrivere oltre dieci anni fa su questo giornale, quando mi recai a Possagno per vedere il calco in gesso de “le Grazie”, ripristinato tramite la stampa tridimensionale, lavoro eseguito in collaborazione con la Scottish Gallery di Edimburgo.  L’opera, commissionata da Giuseppina Beauharnais, è all’Ermitage. Una copia, voluta dal Duca di Bedford, è comproprietà del Victoria & Albert Museum di Londra e della National Gallerie of Scotland di Edimburgo.

Nella gipsoteca sono custoditi i modelli in gesso delle opere che venivano compiute in marmo dal Canova, e che sono finite nei più grandi musei del mondo.

Nel 1917, durante la grande guerra, Una bomba austriaca centrò  la gipsoteca proprio la notte di Natale, provocando ingenti danni, ma subito, l’anno successivo, si  provvide al grande restauro.

La struttura dell’800 della gipsoteca ha avuto un apprezzato ampliamento nel 1957, su progetto dell’architetto Carlo Scarpa. Di recente è stata riaperta l’ala ottocentesca, consolidata nelle strutture anche sotto l’aspetto antisismico, che rese godibili ai visitatori le tante opere del Canova, in particolare i calchi in gesso delle grandi opere dello scultore, il maggiore del ciclo neoclassico.

Nella dimora natale sono conservati disegni, attrezzi e alcuni abiti dell’artista.

I Trevisani, e la mia persona in particolare, si sentono legati fortemente a questa terra e a questa gente, ne sono orgogliosi. L’evento canoviano rappresenta un momento importante non solo per Possagno, ma per l’aspetto culturale dell’intera nazione.                                                    Paolo Pilla